LEONORA ARMELLINI, pianoforte
ORCHESTRA DI PADOVA E DEL VENETO
ALESSANDRO CADARIO, direttore
Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
Concerto n.5 in re maggiore K 175 per pianoforte e orchestra
Allegro
Andante ma un poco Adagio
Allegro
Galimathias musicum K 32 “Quodlibet”
Molto allegro
Andante
Allegro
Pastorella
Allegro
Allegretto
Allegro
Molto adagio
Allegro
Largo
Molto Allegro
Andante
Allegro
Minuetto
Adagio
Presto
Fuga
Concerto n. 27 in si bemolle maggiore K 595
Allegro
Larghetto
Allegro
Note di sala
di Massimo Lo Iacono*
Il numero K 175, mai modificato nel succedersi delle edizioni del catalogo delle opere di Mozart, indica il primo vero concerto per pianoforte ed orchestra scritto, in Salisburgo, dal musicista (1773): cioè, i lavori indicati così, che lo precedono, sono semplicemente elaborazioni di composizioni di Mozart o altri. In questo modo inizia l’avventura di Mozart in un genere di cui ha formalizzato l’impostazione generale, arricchendolo anche con singole felicissime invenzioni melodiche, ritmiche, strumentali, espressive. Il musicista ha eseguito spesso questo concerto, prediligendolo, ed alcune esecuzioni, in tournée, sono documentate. Le più importanti sono quelle a Vienna, dove si era da poco stabilito, nel 1782, in cui Mozart sostituisce al bel finale originario un nuovo brillantissimo pezzo, Rondò K 382, ritenendolo definitivo: tuttavia la diversità stilistica è molto forte. Nel brioso secondo finale, c’è la tenera euforia di quel primo periodo viennese di Mozart che culmina nel “Ratto dal serraglio” (K 384). Inutile parteggiare per l’uno o l’altro movimento conclusivo del concerto: sono, diversamente molto belli entrambi. Tutti e tre i movimenti hanno forma sonata, generosamente con qualche soggetto in più, elegante, e nuova per l’epoca, dialettica solo-tutti. Il ricco organico strumentale è valorizzato in pompa ed esuberanza nei movimenti estremi, valorizzato con diverso approfondimento espressivo delicato nel movimento centrale. Qui ci sono aliti di nuova, romantica sensibilità. Esistono le cadenze di Mozart.
Il Gal(l)imathias musicum “Quidlibet” K 32: indicato con la doppia L negli scritti di Leopold Mozart, è un singolare divertimento, che può sembrare erroneamente una monelleria, un poupurrit di invenzioni, scritto all’Aja in occasione delle feste per l’insediamento del principe d’Orange 1766. È un lavoro di 17 pezzetti vari (conosciuto in varie stesure con problemi filologici), disposti in modo da realizzare contrasti anche buffi, variando spunti di danza e canti popolari noti; all’inizio c’è una parodia da Haendel ed alla fine una fuga su un inno olandese, verosimilmente il più antico d’Europa, già usato da Mozart poco tempo prima in altro lavoro. Si tratta del canto “Wilhlelmus von Nassouwe” attestato dal 1603, e tutt’ora eseguito di frequente. “Quodlibet” significa che i pezzi possono essere eseguiti indipendentemente. Sul bizzarro nome latino della composizione, su cui i più celebrati esegeti di Mozart poco si sono soffermati, si possono consultare in Internet il sito Treccani ed altri, soprattutto uno francese www.cnrtl.fr/definition/galimathias. Ci sono micro invenzioni di alto artigianato che conservano anche temi di Leopold Mozart, noti solo agli specialisti. E molti ritengono il lavoro in gran parte del papà abilissimo di Wolfgang. Composizioni del genere oggi ignote ai più erano allora in voga nella Germania meridionale. A Napoli questo lavoro sembra non sia mai stato eseguito negli ultimi decenni: forse nei concerti del bicentenario della morte di Mozart (1991) ma non se ne trova traccia. Anche l’indicazione K 32 di questo pezzo non ha subito revisioni nelle varie riedizioni del catalogo delle composizioni di Mozart, il che vale pure per l’indicazione K 595 dell’ultimo concerto scritto da Mozart per pianoforte ed orchestra, completato il 5 gennaio 1791. Fu eseguito da Mozart nel ristorante di tal Jahn, in un concerto in cui la star era il clarinettista Baeher. Questo concerto non è un testamento spirituale: ma lo diventa, come le ultime composizioni di Mozart con clarinetto, le ultime pagine per i confratelli massoni e la sublime “Clemenza di Tito”, ancora poco amata e capita, nonostante le molteplici riprese negli ultimi anni. Scritto forse su commissione, il lavoro è di grande difficolta espressiva, scevro da esuberanza virtuosistica. Ne sono peculiarità la presenza di materiale tematico popolare, ovviamente trasfigurato, ed il serrato dialogo solista/tutti, di rara compattezza. Occasionale esuberanza e tanta intima delicatezza che sembra preludere, come in altri lavori coevi di Mozart, agli aspetti più intimi e squisiti dell’emergente Romanticismo. Magari, si intravede l’ispirazione di Schubert, di qualche spunto di Beethoven, ma mai ascoltando questo concerto si immaginerebbero le esplosioni virtuosistiche al pianoforte e tonanti in orchestra dei compositori del pieno Ottocento. Alcuni temi o frammenti di temi sono ben individuati: nel primo movimento uno spunto dall’aria di Osmin proprio dal “Ratto dal serraglio” ed uno dalla sinfonia n.41; nel movimento centrale uno da La fedeltà premiata” di Haydn; nel finale, il tema del tenerissimo Lied K 596, che si vuole composto utilizzando il tema del terzo movimento del concerto, laddove sarebbe più bello immaginare il contrario. Di questo Lied il lettore dovrebbe cercare in Internet l’esecuzione con il soprano Elisabeth Schwarzkopf ed il pianista Walter Gieseking: talvolta la perfezione è di questa terra. O almeno lo sembra.
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