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Concerto 2 novembre

ALEXANDER ROMANOVSKY, pianoforte

Fryderyk Chopin – Waltz in la bemolle maggiore op. 34 n.1, in la minore op. 34 n.2; Scherzo n. 2 in si bemolle minore op. 31; Polonaise in la bemolle op. 53;

Sergej Rachmaninov – 3 Preludi op. 23 (2,3,5);

Felix Mendelsshohn/ Sergej Rachmaninov – Scherzo da Sogno di una notte di mezza estate;

Sergej Rachmaninov – Lilacs op. 21 n. 5; Vocalise op. 34. n. 14 Sonata n. 2 in si bemolle minore op. 36.

 

Note di sala

di *Gianluca D’ Agostino

 

Fryderyk ChopinValzer op. 34 n° 1 in la bemolle maggiore; n° 2 in la minore; Scherzo op. 31 n. 2 in si bemolle minore; Polonaise op. 53 in la bemolle.

Partito nel 1830 da Varsavia alla conquista del mondo, Chopin dopo Vienna giunse a Parigi, capitale del concertismo internazionale e meta ambita (con Londra) per ogni musicista. Qui fiutò l’aria dei tempi nuovi, aria non tanto impregnata di Bach o Beethoven (classici insuperabili che Chopin comunque continuò a studiare tutta la vita), quanto piuttosto di Rossini, Bellini, Meyerbeer e degli esponenti dello stile cosiddetto “Biedermeier”, i vari Moscheles, Hummel, Kalkbrenner, la cui tecnica era ammirata dalle platee europee dei borghesi e dei nuovi ricchi (i banchieri ebrei Rothschild, per esempio), a misura che la loro musica veniva immessa sul mercato e divulgata in pubblico. Invero, però, la modesta espressività di queste opere non poteva blandire il genio del musicista polacco; e d’altronde il suo intenso, ma sempre trattenuto nazionalismo non restava immune al clima di sommovimenti socio-politici, sotto i cui colpi la restaurazione vacillava. E poi c’era, naturalmente, il problema specifico della Polonia, occupata e spartita tra le grandi potenze. In quel momento, tuttavia, ciò che stava più a cuore al giovane Chopin era il tema del rinnovamento del linguaggio musicale e della stessa tecnica pianistica, e in ciò, o almeno anche in ciò, egli decise di fare la sua propria rivoluzione. Sulla scia di quanto asserito da Schubert circa il “maledetto martellamento dei pianisti”, anche Chopin si avviava a sviluppare una concezione rivolta non alla ricerca della potenza o della brillantezza sonora, ma della varietà timbrica; e questo viaggio, in effetti verso l’ignoto, aveva come oggetto nientemeno che una nuova invenzione del suono.

In senso tecnico, Chopin superò l’attacco classico del tasto – polso leggermente basso, dito ricurvo, estensione incentrata sul metacarpo, percussione in direzione verticale – e ne sviluppò un altro tipo, con polso alto, dito più allungato, flessione incentrata sulla prima falange, percussione in senso circolare al tasto. Inoltre elaborò il famoso tocco “cantabile”, con trasferimento del peso del braccio da un tasto all’altro, e  così ottenne che le sue stupende melodie apparissero “fiorite e sciolte”, più o meno al modo di quelle cantate dai celebri divi del teatro. In questo senso è lecito confrontare le melodie belliniane con quelle chopiniane. Parallelamente, con l’uso dei pedali egli otteneva effetti di sfumature stupefacenti per il tempo e anche molto stimolanti dal punto di vista ingegneristico, ossia per gli stessi costruttori dello strumento, come i vari Erard, Pleyel, ecc.

Nella capitale francese Chopin sedusse il pubblico, sia con brani di ampie proporzioni e complessità, come le Sonate, sia con pezzi didattici come gli Studi, sia con tanti altri pezzi vivaci e dagli intenti decorativi, come i Valzer; a ciò affiancando composizioni che ambivano ad essere più rivoluzionarie in senso anche formale, tra cui appunto i quattro Scherzi. Con i Valzer, invece, egli intendeva aderire alla moda dei ballabili da salotto, senza tuttavia rinunciare a raggiungere una tensione espressiva più elevata. Quelli dell’op. 34, conosciuti come “Valzer brillanti”, furono composti in un arco di tempo ampio, tra il 1831 e il 1838, in luoghi diversi e con differenti dediche. Qui, beninteso, la ballabilità è soltanto un pretesto, e infatti per Schumann, che peraltro non sempre fu tenero con il collega polacco, ma che sempre ne riconobbe il genio, si trattava di brani “più per le anime che per i corpi”.

Mentre il primo, in la bemolle maggiore, ha forma di rondò, il secondo, in la minore, è un brano espressivo, e potrebbe essere definito una dumka in ritmo di valzer (dumka in polacco significa pensiero, meditazione). Caratteristica del primo, dopo un preambolo molto convenzionale, è l’arguta distribuzione melodica, il che poi è una cifra distintiva dei migliori compositori romantici: all’inciso ritmico, quella sorta di mordente capriccioso con cui la mano destra attacca la brillante sequenza di scale, corrisponde l’accompagnamento del basso, ma qui appunto avviene anche la dislocazione della melodia, la quale, se si ascolta bene, parrebbe essere (e forse era) una canzoncina infantile o popolare. Qui c’è già molto di Chopin, e forse poco altro ci sarebbe da aggiungere, se non che con l’altro e più bel Valzer, quello in la minore, si viene proiettati in tutt’altro mondo espressivo: fin dall’incipit, con quella bella inversione delle parti (melodia al grave, accompagnamento all’acuto), e poi dall’attacco di quella melodia così dolente, cromatica e angolosa, accompagnata in controtempo. E’ un universo certamente molto “polacco”, dolente, malinconico, in cui non solo le continue modulazioni (degne di uno Schubert) ma persino i mordenti e le acciaccature, sembrano “molcere il cuore”.

Lo Scherzo op. 31 n. 2 in si bemolle minore è un brano eroico che probabilmente veniva percepito anche in un senso patriottico; qualcosa di decisamente teatrale, nel senso che i temi agiscono musicalmente come fossero personaggi da palcoscenico: così fin dall’inizio, con le terzine gravi ascendenti che sembrano porre una domanda, e gli accordi forti e squillanti, puntati, che rispondono in modo perentorio. Poi la sequenza seguente, con la sua ripetizione un po’ scolastica (il pezzo non a caso è tra quelli più assegnati dai didatti ai propri allievi), si rivela essere un paradigma dello stile romantico: melodia puntata nel registro sopracuto su rapido accompagnamento di arpeggi pedalizzati, in un tempo molto rapido e soprattutto incalzante. Qui però stupefacente è il contrasto con la sezione ancora successiva, iniziata con una modernissima transizione accordale al modo maggiore, e proseguita da quella sorta di “valzerino triste” con l’inciso ritmico ostinato al registro medio, e poi con il lungo passaggio brillante, eseguito mentre il basso “passeggia” quasi in modo settecentesco, nelle regioni gravi della tastiera. Tutto meravigliosamente collegato e interconnesso.

Polacche e Mazurche appartengono alla sfera dello “spirito musicale popolare”, e probabilmente Chopin annetté ad alcune di esse, tra le tante che compose, una valenza anche più scopertamente nazionalistica. La Polonaise “eroica” in la bem. maggiore op. 53 è, oltre che uno dei brani più famosi dell’intera letteratura pianistica, quello che forse meglio esprime il suo coté potente, epico, eroicamente polacco. Risale all’agosto del ‘42 ed è gustoso l’aneddoto sulla sua creazione, secondo cui l’autore fu preso da un lavoro così intenso e febbrile da costringere George Sand, la sua famosa musa ispiratrice e soprattutto protettrice, a spostarsi per dormire su un divano in un’altra stanza, per non disturbare il genio, ma anche per non essere lei stessa ossessionata da quel mare di suoni. Pare che a Chopin riuscisse alquanto difficile fissare sulla carta pentagrammata, nella misura esattamente inversa alla facilità con cui improvvisava liberamente allo strumento.

Ne ricordiamo l’inconfondibile carattere dell’introduzione, con le energiche crome ascendenti ad ambo le mani, e soprattutto il famoso tema in mi maggiore, icastico alla mano destra e marziale alla sinistra, presto ripetuto all’ottava con brevi trilli e poi con una serie di progressioni di accordi: tutto qui è all’insegna del trionfale, senza che mai l’esecuzione debba scadere nel pomposo, nel precipitoso o, men che mai, nel fracasso.

 

Sergej V. RachmaninovTre Preludi dai Dieci Preludi op. 23: n°2, n°3, n°5

La carriera di Rachmaninov (1873-1943) si suole dividere in due grandi periodi: dal 1892 al 1917 è il periodo russo, in cui egli fu principalmente compositore e nel contempo direttore d’orchestra e pianista; poi, dopo la Rivoluzione del 1917, che lo indusse alla fuga e all’espatrio, lui essendo per formazione e convinzioni profondamente antibolscevico, ci fu il periodo americano, in cui Rachmaninov scelse di costruirsi una nuova carriera di pianista-interprete, divenendo uno dei massimi rappresentanti in questo genere e forse il più grande di tutti, continuando in modo saltuario l’attività compositiva e direttoriale. Egli nasce quindi compositore e poi diventa anche grande pianista; e quando diciamo pianista-compositore, dobbiamo necessariamente aggiungere anche “russo”, poiché al periodo di formazione, svolta prima nel Conservatorio di San Pietroburgo e poi in quello di Mosca, vanno probabilmente ascritte le sue esperienze musicali più significative.

I Dieci Preludi op.23 furono composti intorno al 1901-1903 e si immettono, almeno idealmente, nella falsariga dei preludi del Clavicembalo ben temperato e di quelli chopiniani. Sono tutti in forma ternaria e la loro caratteristica, al di là degli aspetti di mera tecnica pianistica, peraltro salienti, e del diverso tasso di difficoltà, è di essere intrisi, se non proprio di reminiscenze tematiche, quantomeno di “spirito russo”. Anch’essi, del resto, rivelano quanto il loro artefice tenesse e si impegnasse nello scoprire ogni minima potenzialità rimasta ancora inespressa nel pianoforte moderno, così come Liszt e Chopin avevano fatto per il pianoforte romantico.

Preludio n. 2 Maestoso in si bemolle maggiore

E’ un pezzo molto brillante e virtuosistico, giocato sulla contrapposizione tra un’ampia figurazione arpeggiata e una melodia accordale alquanto stentorea.

Preludio n. 3 Tempo di minuetto in re minore 

L’inizio parrebbe un po’ lisztiano, con l’atmosfera tenebrosa conveniente alla tonalità e la rapinosa discesa delle semicrome al basso, poi però la scrittura diventa più decisamente polifonica.

Preludio n. 5 A la marcia in sol minore

Nella prima ed ultima sezione di questo celebre preludio risuonano la cellula ritmica marziale al basso e gli accordi fitti e ribattuti, nonché il loro crescendo dinamico pieno di energia; nella parte centrale invece (Poco meno mosso) si ode una melodia enigmatica e vagamente folklorica.

 

Felix Mendelssohn/Sergej Rachmaninov – Scherzo da “Sogno di una notte di mezza estate”

Nel 1888, un giovanissimo e già baldanzoso Rachmaninov, ancora studente a Mosca, trascriveva per pianoforte lo Scherzo-Allegro vivace dal Sogno di una notte di mezza estate (Ein Sommernachstraum) di Mendelssohn, ossia il secondo brano tratto dalla fantasmagorica musica da scena che il tedesco aveva composto, sull’omonima commedia shakespeariana, nel 1826. Com’è ovvio, il pezzo perde il confronto con l’originale, nella misura in cui necessariamente rinuncia alla tavolozza dei colori e dei timbri orchestrali; perde ancor più, se eseguito in modo frenetico, come faceva ad esempio il bravissimo Charles Rosen, che pure ne era competentissimo esegeta, forse volendo imitare il modo del primo Glenn Gould alle prese con il Clavicembalo ben temperato. Invece ne guadagna, se eseguito alla giusta velocità, quando si noti la bellissima e ingegnosa trama polifonica che lo informa e che qui Rachmaninov inspessisce addirittura rispetto all’originale, ricorrendo ad una scrittura che felicemente sovrappone la polifonia bachiana allo “spirito da folletti leggiadri” mendelssohniano.

 

Sergej Rachmaninov

Lilacs op.21, n. 5

Scritta nel 1902 come parte di una raccolta di Dodici Romanze per voce e pianoforte, è un pezzo lirico, delicato e struggente, dotato di una breve seconda parte appena più mossa.

Vocalise op.34 n. 14

Anche questa fa parte di una raccolta di romanze, e precisamente delle 14 Romanze per voce e pianoforte op.34, scritte nel 1912-15. E’ un brano molto lirico e più lungo del precedente, con una nobilissima melodia dal taglio decisamente moderno e impressionistico. Anche qui c’è una seconda sezione più dinamica, che è piuttosto uno sviluppo tematico della precedente.

Sonata in si bemolle minore op. 36 n. 2

Scritta sempre in quel giro di anni, e precisamente nel 1913, ma poi revisionata nel 1931, la Sonata è considerata opera tipica del Rachmaninov maturo, soprattutto per la ricchezza sonora e la foga virtuosistica. E’ divisa in tre movimenti.

L’ “Allegro agitato” si apre con un folgorante arpeggio discendente, cui fa seguito una melodia che all’inizio a stento si ode tra il martellare sfrenato degli accordi, le ottave ribattute, le volate lungo tutta la tastiera, le improvvise accensioni ritmiche; essa comunque afferma, ad un tratto, il suo proprio carattere, che sta tra l’epico ed il malinconico, e che può riassumersi, in sostanza, nell’alternanza tra un intervallo discendente di terza minore ed uno di terza maggiore: è la cifra ribadita infinite volte nel movimento, attraverso vari sviluppi che paiono concepiti in stile improvvisativo.

Il secondo movimento (“Non Allegro”) ha inizialmente un andamento molto calmo, aprendosi con una melodia assai malinconica che nella fisionomia rassomiglia a quella del Vocalise, e che viene trasportata in vari toni. A ciò segue un episodio decisamente più mosso e dall’andamento rapsodico, e poi una coda brillantissima, che tuttavia si spegne in piano e in tonalità maggiore.

Il finale, Allegro molto, sembra un po’ una forma a specchio del primo movimento, fin dal modo in cui si apre, con quella movenza plateale e la scala di folgorante velocità; ma con la differenza che anche il seguito offre all’interprete occasioni plurime di sfoggiare la propria foga virtuosistica.

 

*Questo testo non può essere riprodotto, con qualsiasi mezzo analogico o digitale, in modo diretto o indiretto, temporaneamente o permanentemente, in tutto o in parte, senza l’autorizzazione scritta da parte dell’autore o della Associazione Alessandro Scarlatti 

 

 

 

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