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Concerto 14 dicembre

JAVIER COMESAÑA, violino

MATTEO GIULIANI DIEZ, pianoforte 

Enrique Granados ‒ Sonata per violino e pianoforte

Claude Debussy – Sonata in sol minore per violino e pianoforte

Igor Stravinskij – Divertimento per violino e pianoforte

Olivier Messiaen – Tema e Variazioni

Ottorino Respighi – Sonata in si minore P 110

 

Note di sala

di *Gianluca D’ Agostino

 

Enrique Granados, Sonata per violino e pianoforte

Pantaléon Enrique (o Enric) Granados (Lleida 1867 – La Manica 1916) fu un esponente di spicco del nazionalismo musicale spagnolo (lui però era catalano ed anche moderatamente indipendentista), ma venne anche condizionato dall’impressionismo francese, i cui principali esponenti conobbe durante un viaggio formativo compiuto a Parigi quand’era intorno ai vent’anni. Ottimo pianista e compositore versatile, essenzialmente autodidatta, Granados vanta un catalogo variegato ancorché non imponente, essenzialmente pianistico e tuttavia comprendente anche musica da camera, canzoni, zarzuelas, poemi musicali ed opere per il teatro. L’apice della carriera lo raggiunse a cavallo della prima decade del secolo, quando, anche grazie all’amicizia con il giovane ma già affermato violoncellista Pablo (o meglio Pau, in catalano) Casals, fondò e diresse una rinomata accademia pianistica. E di certo la sua Musa artistica avrebbe maggiormente cantato, se il compositore non fosse morto, prematuramente, nel naufragio del vapore Sussex su cui viaggiava con la moglie, a causa di un sottomarino tedesco che lo silurò nel canale della Manica, nel marzo 1916. La Sonata per violino e pianoforte (ca. 1910) fu dedicata al grande violinista Jacques Thibaud (1880-1950), al tempo in cui quest’ultimo si accingeva a intraprendere quel felice sodalizio artistico con il predetto Casals e con il pianista Alfred Cortot, che li avrebbe destinati a formare un trio la cui fama, tra anni Venti e Trenta, fu enorme. Per buona parte del pezzo il violino si staglia sull’accompagnamento pianistico, la cui scrittura comunque non è mai banale, anzi spesso è brillante. Fin dall’inizio lo strumento ad arco spazia, in modo divangante e come rapsodico, per l’intera gamma, toccando spesso il registro sopracuto, mentre l’armonia indugia in modo piacevolmente ambivalente, e il pianoforte giustappone e lascia risuonare due accordi contrapposti, quello di la maggiore e quello di si minore, che formano come un insistito pedale. Il tema principale, alquanto decorativo, viene poi trasferito al pianoforte, poi ancora ripreso dal violino che lo reitera infinite volte in varie tonalità, su brillanti arpeggi pianistici. Nell’incedere del brano l’elaborazione tematica non muta granché l’atmosfera dell’inizio, ma si avverte sul finale una condotta molto più concertante e paritetica tra i due strumenti.

 

Claude Debussy, Sonata in sol minore per violino e pianoforte

Come la morte di Granados si lega alle nefaste conseguenze della prima guerra mondiale, così pure l’ultima fase creativa di Claude Debussy (1862-1918), comprendente questa sua Sonata per violino e pianoforte, risente di quel medesimo evento, catastrofico per l’Europa e vero spartiacque nella storia contemporanea. «In quali mani cadrà il futuro della musica francese?» si domandava il maestro tra 1916 e 1917, mentre i tedeschi cannoneggiavano Parigi e lui, per giunta, era afflitto dai sintomi del male che ormai ne minava l’esistenza. Di qui la decisione di fare comunque la propria parte, e con i soli mezzi a sua disposizione, ossia con la musica, ma una musica da ricondurre “secondo la nostra antica forma”, e cioè dove tralucesse il modello del barocco francese, Rameau e Couperin. 

Nacque così l’idea di comporre le “Six Sonates pour divers instruments”, di cui però Debussy riuscì a portare a termine solo tre: una per violoncello e pianoforte, la seconda per flauto, viola e arpa, infine questa che si esegue stasera, per violino e pianoforte, che egli firmò “Claude Debussy, musicien francais”, appunto per rimarcare il patriottismo, oltre all’implicito distanziamento dalla tradizione tedesca e dal wagnerismo. L’opera sarebbe stata anche la sua ultima, e certamente fu un lavoro che gli costò gran fatica (con continui rimaneggiamenti soprattutto del Finale), senza forse nemmeno soddisfarlo del tutto, secondo quanto si ricava da commenti come il seguente: «Questa Sonata sarà interessante da un solo punto di vista, puramente documentario, e come esempio di ciò che un uomo malato ha saputo scrivere durante la guerra». 

Divisa canonicamente in tre movimenti, per il resto la Sonata non segue alcuno schema classico, né sembra essere permeata da un autentico spirito neo-classicista, o risentire più di tanto della poetica impressionista. In effetti, è un pezzo bellissimo ma piuttosto indecifrabile, pieno di cesure meditabonde alternate ad improvvise accensioni dinamiche, e sicuramente molto tecnico nella parte assegnata al violino. Fa utilizzo di cellule tematiche essenziali continuamente riproposte e variate, come si rileva fin dal primo movimento (Allegro vivo), dove non compare mai un tema vero e proprio, quanto piuttosto una linea melodico-armonica iterata, spesso giocata su sequenze intervallari percepibili come “esotiche” (es., l’intervallo discendente di terza maggiore e di terza minore, o la scala con la terza minore e la quinta diminuita). Il secondo movimento (Intermède. Fantasque et léger) ha un incipit che parrebbe umoristico, ma che subito cede alla serietà e soprattutto al carattere fantasioso tipico dell’improvvisazione, che d’altronde era contenuto programmaticamente nella didascalia. Un ritmo martellante ma leggero di note ribattute passa continuamente da uno strumento all’altro, per poi sfumare in piano. Il terzo tempo (Très animé) si svolge invece in modo convenzionalmente più brillante: è avviato da un richiamo tematico al primo tempo, ma il tono qui è più vivace e l’andamento acquista sempre maggiore brio, grazie alle note velocissime del violino; il quale tuttavia a un certo punto frena, con un imprevisto rallentamento che ha quasi il sapore di una girata di tango, ma che appunto dura un attimo, per poi tornare al ritmo frenetico dell’inizio.  

 

Igor Stravinskij, Divertimento per violino e pianoforte

Il Divertimento per violino e pianoforte (1934) non è altro che la trascrizione per siffatto organico della Suite sinfonica dal balletto La Baisier de la Fée (‘Il bacio della fata’), che Stravinskij aveva composto sei anni prima basandosi sulle musiche di Cajkovskij, e che comprende quattro parti corrispondenti alle altrettante sezioni in cui si articolava il balletto: “Sinfonia”, “Danses suisses”, “Scherzo”, “Pas de deux” (quest’ultima a sua volta tripartita: Adagio-Variazione-Coda). Siamo nel pieno di quella che Roman Vlad definisce “moderna Arcadia neoclassica”. Con il termine “Divertimento” si sottintende l’astrattezza del puro gioco musicale, ma qui c’è l’esplicita intenzione di fare “musica al quadrato”, trasformando le figure sonore derivate da opere altrui: in pratica, quello che Stravinskij aveva già fatto con il Pulcinella basato su Pergolesi (e dal quale parimenti era scaturita una celebre Suite), ora toccava fare all’adorato connazionale Cajkovskij, del quale tra l’altro ricorreva il trentacinquesimo anniversario della morte. Al sommo autore della Patetica, e in particolare a vari suoi brani pianistici e vocali, risale praticamente tutto il materiale melodico tonale udibile nel Divertimento; mentre le parti poliritmiche e atonali, così come gli inconfondibili ritmi di danza, d’altronde nettamente contrastanti con il resto, sono opera del solo Stravinskij. In questa sede rileverebbe parlare solo dell’aggiunta della parte violinistica, che fu opera del violinista Samuel Dushkin, con il quale il compositore aveva iniziato una fruttuosa collaborazione sin dai primissimi anni Trenta, a partire dal Concerto per violino e orchestra; proprio il suo felice esito indusse il compositore a realizzare altre partiture per violino “concertante”, sempre in collaborazione con Dushkin, vincendo così la propria iniziale avversione nei confronti della combinazione sonora nascente dalle corde percosse del pianoforte e da quelle fatte vibrare dall’arco. Subito però ci si avvede che, in questo come negli altri brani congeneri, è impossibile considerare la parte del violino come separata dal resto (e nella fattispecie dal pianoforte); dunque non resta che tornare a una rapida visione d’assieme. A fronte della prima sezione forse troppo contrastante e “pasticciata” (beninteso nel più nobile senso stravinskjiano), nel brano successivo, le “Danses  suisses”, si ritrova con piacere l’inventiva ritmica dell’autore dell’Histoire du Soldat, con quegli scatti tipici e i guizzi melodici che solo al violino si possono ricreare. Poi della terza sezione si ammira soprattutto lo splendido momento pastorale (“Doppio movimento”) incastonato al suo centro. D’altronde sono tanti, quanto improvvisi, gli squarci lirici presenti in questo Divertimento, all’ascolto dei quali si prova una curiosa sensazione come di tornare indietro nel tempo. L’ultima sezione forse pecca un pochino di sincerità, nel senso che vi traspare l’intento di far sfoggio della parte virtuosistica del violino e, al contempo, di “spettacolarizzare” un po’ troppo la musica. 

 

Olivier Messiaen, Tema e Variazioni, per violino e pianoforte

Restiamo sempre in ambito francese e ancora nel cruciale periodo tra le due guerre. Thème et variations di Olivier Messiaen (1908-1992) risale infatti al 1932, all’epoca del suo matrimonio con la violinista Claire Delbos. Sarebbe pertanto lecito aspettarsi da esso i tratti di un giovanile, e magari galante, cadeau nuziale; e invece l’opera travalica decisamente questa dimensione, assumendo un respiro progressivamente drammatico ed anzi evidenziando, fin da subito, molte delle caratteristiche ‘mature’ del linguaggio musicale del francese: la configurazione degli accordi più tipici, il modalismo melodico, l’articolazione in periodi di sette anziché otto battute, l’assenza di sviluppo. Ultimo ma non da ultimo, l’aspetto della concertazione, sempre molto prominente. 

Le cinque variazioni si definiscono forse meglio “e contrario”, piuttosto che con aggettivi: di certo non appaiono come trasformazioni, ma piuttosto come decorazioni del tema principale, un tema che da parte sua ha un notevole lirismo, ma che è sfuggente nella fisionomia e parimenti resistente  a qualsiasi aggettivazione. Grandiosa l’enfasi ottenuta nell’ultima Variazione.

 

Ottorino Respighi, Sonata in si minore per violino e pianoforte P 110

Con la la Sonata in si minore per violino e pianoforte di  Ottorino Respighi (1879-1936) torniamo agli anni del primo conflitto mondiale, ma rientriamo finalmente anche nei nostri confini nazionali. Fu composta tra 1916 e 1917, cioè nello stesso periodo del poema sinfonico Le fontane di Roma, il primo della celebre Trilogia romana. Anche la prima suite delle Antiche arie e danze per liuto è di quegli anni, ma in fondo, oltre alla cronologia, queste tre opere non condividono altro, e ciò dice molto sull’ampiezza del ventaglio stilistico di Respighi e sulla varietà della sua ispirazione, che qui attinge parimenti al tardo Romanticismo europeo (pare sovente di sentire, nel primo movimento, il Liszt della Sonata omonima per pianoforte, ma anche Rachmaninov) e al barocco nazionale, della cui tradizione Respighi fu il più influente cultore. Nel Moderato iniziale, il nucleo musicale è una cellula che prende forma dalla nebbia di terzine del pianoforte e che sostanzialmente s’impernia nel brusco e perfino aspro salto d’intervallo tra i tre suoni tonica-settima-sesta. Dopo una lunga peregrinazione la conclusione è, però, in un rassicurante si maggiore. L’Andante espressivo è in forma ABA, di cui quella centrale, più agitata e addirittura veemente, è in un netto contrasto con le due estreme, che sono più liriche e cantabili, e decisamente romantiche. Veramente, però, il canto con cui il movimento ha proprio inizio possiede un’ineffabile nota di antico, anzi di arcaico, che evidentemente Respighi, col suo proverbiale sesto senso per la filologia, ben conosceva: ciò meriterebbe un supplemento d’indagine. Nell’Allegro finale, ben venti variazioni accompagnano il tema di passacaglia, tema robusto ed esposto con grande solennità: qui alla parte pianistica è richiesto un virtuosismo notevole, mentre la condotta molto energica del violino rispecchia la conoscenza personale dello strumento da parte del compositore, e l’alta perizia tecnica. Più importante ancora è la strategia compositiva, che vede, prima del travolgente finale, un fugace ritorno del tema del Moderato iniziale.

 

*Questo testo non può essere riprodotto, con qualsiasi mezzo analogico o digitale, in modo diretto o indiretto, temporaneamente o permanentemente, in tutto o in parte, senza l’autorizzazione scritta da parte dell’autore o della Associazione Alessandro Scarlatti 

 

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