Giovedì 5 maggio 2022 – Teatro Sannazaro – ore 20.30
RICCARDO ZAMUNER, violino
EMANUELE DELUCCHI, pianoforte
Serata Alberto Curci
César Franck (1822 – 1890)
Sonata in la maggiore per violino e pianoforte
Emilia Gubitosi (1887-1972)
Allegro appassionato per violino e pianoforte
* * *
Johannes Brahms (1833-1897)
Sonata n. 2 in la maggiore per violino e pianoforte op. 100
Karol Szymanowski (1882 – 1937)
Notturno e Tarantella op. 28
Serata Alberto Curci
Il concerto di stasera inaugura una serie di attività che l’Associazione Alessandro Scarlatti dedicherà, nel corso dei prossimi anni, alla straordinaria figura di violinista e didatta di Alberto Curci. Il suo temperamento instancabile e costantemente rivolto alla promozione di nuove iniziative culturali lo indussero all’età di 80 anni a dar vita alla “Fondazione Curci”, istituita il 12 novembre 1966 a Napoli con l’intento di stimolare e premiare l’attività artistica musicale mediante l’assegnazione di borse di studio a giovani studenti dei conservatori statali italiani. Nel 2019, in occasione del Centenario dell’Associazione Alessandro Scarlatti, la Fondazione Curci ha deciso di sciogliersi avviando la pratica di fusione per incorporazione con l’Associazione Alessandro Scarlatti e quindi il suo patrimonio, tra cui un appartamento di circa 100 metri quadrati sito a Napoli in Via Nardones 8, sarà utilizzato dall’Associazione Alessandro Scarlatti come sede dell’archivio storico dell’associazione, per attività di master, seminari, laboratori e ulteriori attività scientifiche e di ricerca.
Note di sala
di Tommaso Rossi*
I grandi capolavori sono il frutto – quando vedono la luce – dell’incontro non certo casuale ma straordinariamente raro di fattori che potrebbero anche essere considerati inconciliabili tra loro.
Come i matrimoni esaltano, a volte, la fusione di anime dotate di caratteri opposti, nel caso della Sonata per violino di César Franck (1822-1890) la “coincidentia oppositorum” si realizza, quasi miracolosamente, tra slancio melodico e contrappunto, semplicità e complessità, facilità della scrittura e ardito virtuosismo (qui soprattutto pianistico), insomma tra aspetti che raramente troviamo così ben addensati nella stessa opera. Tra l’altro, continuando nel gioco sul tema matrimoniale, fu proprio in un’occasione nuziale che ebbe luogo la prima esecuzione dell’opera. Si trattava delle nozze tra il violinista Eugène Ysaÿe (1858-1931), dedicatario dell’opera, con Louise Bourdau. Pur non presenziando personalmente al matrimonio, il compositore inviò per l’occasione il manoscritto della sonata tramite i comuni amici Charles Borde e l’eccellente pianista Marie-Lèontine Bordes-Pène la quale, su richiesta estemporanea di Ysaÿe, profondamente commosso per un dono definito «non solo per me, ma per l’umanità intera» accompagnò al pianoforte la prima e memorabile esecuzione a prima vista, durante il ricevimento di nozze.
Nella Sonata, che certamente è tra le creazioni di maggior peso del compositore francese – assieme alla Sinfonia in re minore, alle Variazioni sinfoniche, a Psyché, al Quintetto in fa minore, ai due grandi trittici per pianoforte – Franck realizzò una delle sintesi più compiute e felici degli “ingredienti stilistici” che caratterizzavano la sua personalissima estetica, fatta da un lato di un solidissimo bagaglio tecnico frutto della originale sintesi della cultura musicale dei secoli precedenti (ricordiamo che fu un grandissimo organista) e, dall’altro, di una straordinaria propensione verso il canto, oscillante – a sua volta – tra sensualità e misticismo. A lungo si è pensato che alla Sonata di Franck si ispirasse Marcel Proust quando, in À la recherche du temps perdu, creò un’immaginaria “Sonata di Vinteuil”, una composizione di un autore di fantasia – Vinteuil appunto – che Swann as-socia al proprio amore per Odette: forse perché la Sonata di Franck, composta nel 1886, ben incarna lo spirito del suo tempo, sospeso tra classicità e decadenza, tra la solida tradizione brahmsiana e le innovazioni armoniche wagneriane? La Sonata è – tecnicamente parlando – un esempio di “Sonata ciclica” – ovvero di brano costruito, in tutti e quattro i suoi movimenti, attraverso la prospettica elaborazione di alcuni frammenti melodici (tre nel caso specifico) che mirano, un po’ come il Leit-motiv wagneriano, a dare una forte consistenza all’impianto formale. Sarà Vincent d’Indy (1851-1931), allievo di César Franck, a pubblicare nel 1905 il trattato Cours de composition musicale, codificando le principe cyclique, quando il capolavoro del maestro, a quindici anni dalla scomparsa dell’autore, aveva già ottenuto un grande riscontro di pubblico e critica, riconosciuta come l’esempio più illustre di sonata ciclica, grazie all’estremo equilibrio, nel rapporto dialogico tra i due strumenti e alla chiarezza della struttura.
Se è assolutamente indimenticabile la vena melodica del primo tempo, un Allegretto ben moderato, in cui da subito è chiaro il ruolo importantissimo svolto dal pianoforte nel “cucire” il tessuto della composizione – in un dialogo costante con il violino e anche in una funzione totalmente solistica – il secondo tempo, ampio e drammatico, è caratterizzato da una continua tensione cromatica, amplificata dal tempestoso andamento del pianoforte, con cui il violino è chiamato a gareggiare, non tanto in virtuosismo, quanto nella capacità di imporsi a livello dinamico.
Nel terzo tempo l’idea di base è quanto di più lontano ci possa essere dalla idea di “musica da camera “- ovvero il melodramma -, con l’esplicito riferimento allo stile recitativo, che è nel titolo del movimento, e che vede protagonista assoluto il violino; le lunghe e rapsodiche cadenze del violino sono intervallate, nella prima sezione, dal tema ciclico espresso dal pianoforte solo. La seconda sezione affida al violino, accompagnato da arpeggi in terzine del pianoforte, un nuovo tema (che sarà poi ripreso nel quarto tempo) rielaborato più volte. L’intero movimento, fortemente modulante, ha il sapore di una preghiera disperata, contrastata da un destino avverso e drammatico. Tragica è la conclusione, che, dopo un fugace momento di luce (l’ultima frase), modula bruscamente nella tetra tonalità di fa diesis minore. A questo clima cupo risponde la gioiosa cantilena tematica del quarto tempo, una della più famose melodie violinistiche, che si innesta progressivamente su un sapiente gioco imitativo in cui protagonista è la struttura contrappuntistica, ma anche la capacità di costruire un progressivo crescendo, basato sull’accumulazione dei materiali musicali.
Le recenti celebrazioni del Centenario dell’Associazione Alessandro Scarlatti hanno riportato fortemente in evidenza la figura di Emilia Gubitosi (1887-1972), pianista, compositrice e didatta nonché ideatrice e fondatrice della nostra associazione. Figura per certi versi rivoluzionaria nella Napoli di inizio XX secolo ( fu la prima donna diplomata in composizione in Italia con una speciale licenza regia) alla Gubitosi è stata dedicata una parte importante della Mostra Musica Ininterrotta – 100 anni dell’Associazione Alessandro Scarlatti, realizzata da Aldo Di Russo a Villa Pignatelli nel 2019, nonché vari approfondimenti e studi storici sono stati pubblicati ne I Quaderni della Scarlatti, la rivista musicologica che la Scarlatti pubblica dal 2020 per la LIM (Libreria Musicale Italiana), ad opera, in particolare di Daniela Tortora. Alla Gubitosi è stato dedicato anche un graphic novel, frutto dell’inventiva della sceneggiatrice Chiara Macor.
Se l’impegno assoluto e la devozione che la Gubitosi (unitamente con il marito Franco Michele Napolitano) hanno profuso nell’attività organizzativa della “Scarlatti” hanno probabilmente, nel tempo, offuscato il ricordo e il valore della sua attività concertistica e compositiva, è necessario qui ricordare come, agli inizi del XX secolo Emilia avesse ormai conquistato un ruolo importante sia come interprete che come compositrice, in particolare in ambito operistico (Gardenia Rossa, Ave Maria, Nada Delwig, Fatum). Fu negli anni della prima guerra mondiale che i suoi interessi mutano a favore del repertorio sinfonico e cameristico (si veda innanzitutto il Concerto per pianoforte e orchestra del 1917), con riferimenti stilistici alla produzione martucciana e a quella del venerato maestro dei maestri, Ildebrando Pizzetti, con cui la Gubitosi intrecciò un nutrito epistolario, oggi conservato presso la l’archivio della Fondazione Franco Michele Napolitano e affettuosamente curato da Maria Sbeglia e Umberto Zamuner. L’Allegro appassionato, nato originariamente come composizione per violino e orchestra, dimostra tutta la sensibilità della Gubitosi per il violino, strumento suonato dalla sorella Elsa, che pure svolse un’importante carriera di solista all’ inizio del Novecento (suonò in duo, tra gli altri, con Alfredo Casella).
Nella storia della produzione violinistica il 1886 è davvero un anno particolare, perché vi vede la luce anche la Sonata op. 100 di Johannes Brahms, il secondo, in ordine cronologico, dei capolavori scritti dal compositore tedesco per violino e pianoforte. In realtà Brahms aveva scritto molto per questo strumento anche in gioventù, ma, insoddisfatto del suo lavoro, aveva distrutto ogni traccia di questo precoce interesse per lo strumento. Certamente le tre Sonate superstiti hanno un tratto assai poco “violinistico”, intrise come sono di uno spirito tutto influenzato dalla dimensione liederistica, da una amabilità melodica, da un tratto di «serena e affettuosa cordialità» che proviene dal riferimento a istanze intimistiche, ben tratteggiate, ad esempio, dai Lieder Wie Melodien zieht op.105 n.1 e Komm bald op. 97 n. 5, i cui testi ben mostrano il clima poetico in cui Brahms è immerso in quella stagione della sua maturità musicale che coincide con la fine degli anni ’80 dell’’800. In particolare il primo dei due Lied sembra quasi un manifesto poetico:
«Come una melodia mi attrae dolcemente attraverso i sensi, e fiorisce come fiori di primavera e si libra nell’aria come un profumo. Ora segue la parola, l’afferra e conduce innanzi all’occhio, impallidisce come il grigiore della nebbia e svanisce come un alito. E sì nasconde poi nel verso un profumo che uno sguardo inumidito dal pianto evoca dolcemente da un segreto germoglio».
Brahms, che scrive la Sonata op. 100 immerso nel silenzio delle montagne svizzere di Thun («Ogni cosa in questi luoghi mi dà l’emozione di un canto assoluto», confessò) mostra qui tutte le sue doti intimistiche, caratterizzate da amabilità colloquiale e tenerezza lirica. D’altronde la parola amabile definisce il titolo del primo movimento, «nel quale un tranquillo motivo cullato nel tempo di 3/4, viene disegnato dagli accordi del pianoforte con l’inserimento di brevi code melodiche del violino, per poi essere riesposto con ruoli invertiti tra i due strumenti». Il secondo tempo, costruito sulla alternanza tra una sezione più lenta e una più veloce, sviluppa anche spunti tematici popolareschi, ed è costruito su una forma assai singolare che segue lo schema ABABA, sezioni in Andante tranquillo, liricamente terso, e sezioni in Vivace, dal carattere di danza (quasi uno Scherzo alla Mendelssohn), fra loro contrastanti ma tematicamente correlate. L’Allegretto grazioso che conclude la composizione è un Rondò i cui tre episodi non contrastano ma riprendono linearmente il cantabile motivo del refrain; è in questo movimento che si impone il clima liederistico di tutta la composizione anche grazie al calore della linea violinistica, spostata verso il registro grave.
Una fascinosa melodia di bicordi di quinta, affidata al violino, apre, sul tappeto degli scuri accordi del pianoforte, il Notturno del compositore polacco Karol Szymanowski (1882-1937), musicista di grande talento e apertura culturale, uno dei protagonisti assoluti della musica polacca del XX secolo.
Aperto alle istanze dell’impressionismo francese e dell’espressionismo tedesco, Szymanowski dedicò al violino alcune opere particolarmente significative tra cui la Sonata in re minore op. 9, i Tre Capricci di Paganini op. 40, Mity, mini-suite in tre movimenti ispirata alla figure mitologiche di Aretusa, Narciso e Pan, e , appunto, il Notturno e Tarantella, che segue il modello di molte composizioni cameristiche di fine Ottocento-inizio Novecento per strumento solistico e pianoforte, articolate nella forma breve del dittico (pensiamo ad esempio alla Sicilenne et Burlesque o alla Barcarola e Scherzo di Alfredo Casella). Il brano, di sicuro effetto, punta sull’estroversione e sulle capacità di suono dell’interprete solista nella realizzazione del fascinoso tema contenuto nell’Allegretto scherzando del Notturno e sull’impatto ritmico brillantissimo della Tarantella, brano dove Szymanowski trova soluzioni originali e capaci di rinnovare una forma grandemente utilizzata nel corso del XIX secolo.
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