Jordi Savall, viola da gamba
Andrew Lawrence-king, arpa
David Mayora, percussioni
ore 19.00 al Teatro Verdi il concerto è preceduto da
Note d’artista: conversazione con i musicisti
FOLÍAS & CANARIOS
Dall’Antico al Nuovo Mondo
Diego Ortiz (ca.1510-ca.1570)
Recercadas sobre Tenores (Roma, 1553)
Folía IV
Passamezzo antico I
Passamezzo Moderno III
Ruggiero IX
Romanesca VII
Passamezzo moderno II
Tobias Hume (ca.1569-1645)
Musicall Humors
A Souldiers March
Good againe
Harke, harke
Alonso Mudarra ( 1510-1580)
Musica en cifra (Sevilla, 1543)
Fantasia X que contrahaze la harpa en la manera de Ludovico
Anonimo (Cancioneiro de Paris)
Folfas portuguesas
Pedro Guerrero (ca.1520)
Moresca
Anonimo
Greensleeves to a Ground
Tradizionale di Tixtla / improvvisazione
Guaracha
Antonio Martin y Coll (ca.1660-ca. l 734) (& improvvisazione)
Diferencias sobre las Folfas
Santiago de Murcia ( 1673-1739)
Fandango (Arpa)
The Lancashire Pipes
(The Manchester Gamba Book)
A Pointe or Preludium
The Lancashire Pipes
The Pigges of Rumsey
Kate of Bardie
A Toy Francisco
Correa de Arauxo (ca.1584-ca. l 654)
Glosas sobre “lodo el mundo en generai”
Anonimo
improvvisazione
Canarios Antonio Valente ( 1520-1580)/ improvvisazione
Gallardo napolitana
Jarabe loco (jarocho)
Antonio Martín y Coll (& improvvisazione)
Diferencias sobre las Folías
Con il supporto di Generalitat de Catalunya – Departament de Cultura e Institut Ramon Llull – lingua e cultara catalane
FOLÍAS & CANARIOS – note sul concerto
La Follia è una delle svariate forme di danza e di canto di accompagnamento alla danza di origine popolare che si svilupparono nella penisola iberica nel tardo Medioevo, e che probabilmente sono state in uso nel loro contesto originario alquanto a lungo, prima di essere in seguito assimilate dal repertorio polifonico di corte, tanto vocale che strumentale, tra la fine del XVº e l’inizio del XVIº secolo. La sua origine portoghese è confermata dall’influente teorico spagnolo Francisco de Salinas nel suo trattato del 1577 De musica libri septem, e sicuramente comparve per la prima volta in diversi documenti portoghesi della fine del XVº secolo; fra gli altri, le opere del fondatore del teatro rinascimentale in Portogallo, Gil Vicente. In esse, è associata a personaggi popolari, di solito pastori o contadini impegnati in vivaci canti e balli (da cui la denominazione di Folía, che in portoghese significa sia “folle divertimento” che “pazzia”), o come strumento per indicarne facilmente agli spettatori le caratteristiche sociali, o per celebrare il felice risolversi dell’intreccio. Inoltre, durante il XVIº e il XVIIº secolo appaiono continui riferimenti, nelle cronache portoghesi del tempo, a gruppi di contadini chiamati a ballare la Follia nei palazzi della nobiltà in occasione di eventi festosi come nozze o natività.
Nel suo Tratado de glosas 1553, Diego Ortiz include diversi esempi di queste serie di variazioni che usano il basso della Follia –così come quelle della Romanesca, del Passamezzo Antico e del Passamezzo Moderno- proprio come una base armonica a carattere di ostinato affidata al clavicembalo, su cui la viola esegue elaborazioni melodiche altamente virtuosistiche.
La Morisca o Perra mora, una danza con un forte sapore arabo, con il suo caratteristico disegno ritmico in 5/2, è offerta qui nella versione attribuita a Pedro Guerrero, tratta dal cosiddetto Cancionero de Medinaceli, compilato nella seconda metà del XVI secolo. Insieme con Pésame d’ello, Zarabanda e Chacona, fu menzionato da Miguel de Cervantes nella sua novella La ilustre Fregona come una delle danze profane che erano tanto di moda al suo tempo da essere riuscite perfino ad “intrufolarsi, per gli spiragli delle porte, dentro ai conventi” (“ha intentado… entrar por los resquicios de las casas religiosas”).
In Inghilterra, compositori del XVI e XVII secolo come William Byrd, John Bull, Thomas Tomkins, e più tardi Christopher Simpson o John Playford, svilupparono una simile tradizione di variazioni su un “ostinato”, talvolta scegliendo come basi gli stessi bassi dei loro omologhi sul continente, ma spesso usandone di differenti. Ciascun autore li ereditava da precedenti musicisti britannici o ne inventava di propri per ogni nuovo pezzo. Canzoni strofiche su un motivo armonico ripetuto, come il famoso Greensleeves, furono usate frequentemente per questo scopo, ed anche come linee al basso indipendenti senza parti di discanto ad esse associate. Queste linee andavano da una semplice coppia di note (come in The Bells di Bull) a melodie assai lunghe con una struttura interna complessa.
Un musicista collegato alla scuola di Puebla, Juan García de Zéspedes (+ 1678), ci ha lasciato un allegro villancico natalizio, Ay que me abraso (letteralmente “Ay che io brucio”), scritto sul ritmo caratteristico di una danza messicana, la Guaracha, in cui i personaggi ansimano e sospirano per l’eccessivo calore prodotto dalle loro emozioni alla vista di Cristo appena nato.
A partire dall’ultimo quarto del XVIIº secolo, comunque, la Follia attraversa un periodo di ulteriore standardizzazione, in cui la versione della linea del basso sopra riportata diventa la regola (a ciascun tono essendo assegnata la durata di una battuta, in tempo ternario) e con un contrappunto standard associato alla sequenza armonica così ottenuta. In tutta Europa, lungo tutto il XVIIIº secolo, essa diviene una delle basi predilette per variazioni strumentali di grande virtuosismo, nelle mani di compositori dell’importanza di Corelli, Alessandro Scarlatti, Vivaldi e Bononcini in Italia, Marais e d’Anglebert in Francia, Johann Sebastian e Carl Philipp Emanuel Bach in Germania. “La Follia” di Corelli, inclusa nella sua famosa collezione di Sonate per violino solo e continuo Op. 5, del 1700, ebbe particolare influenza nella creazione di un’ampia gamma di schemi di variazioni su questo tema, che furono poi largamente imitati da una innumerevole schiera di compositori minori. Inutile dire che anche nella sua nuova versione barocca, esso rimane l’elemento principale del repertorio strumentale iberico del XVIIº e XVIIIº secolo, di cui un esempio particolarmente incantevole è quello contenuto nella collezione manoscritta di Antonio Martín y Coll Flores de Música (ca. 1690). Cherubini renderà più tardi omaggio alla sua origine portoghese usandola come tema principale dell’ouverture dell’opera L’hôtellerie portugaise del 1798, e perfino alcuni dei virtuosi romantici del pianoforte, ancora nel 1867 (Liszt, Rhapsodie spagnole) e nel 1931 (Rachmaninov, Variazioni su un tema di Corelli) la useranno come simbolo di continuità con una illustre tradizione di quasi tre secoli di composizione di variazioni brillanti per tastiera.
Le Diferencias sobre la Folía si trovano nel manoscritto di Antonio Martín y Coll che testimonia la prima evoluzione barocca (seconda metà del XVII° secolo), che permette variazioni più contrastate, che giocano sull’alternanza di strofe lente e veloci, e la successione di passaggi molto virtuosistici alternati a più o meno tenere cantilene. La strumentazione prescelta, che comporta, oltre alla viola da gamba bassa, una chitarra e della percussione, corrisponde alle sonorità caratteristiche del gusto e della pratica del tempo nella penisola iberica, specialmente nelle forme, come la Follia, il Fandango o le Jácaras, che conservavano uno stretto legame con le loro origini popolari.
La festa del son, in Messico, è il fandango – detto anche huapango –, una festa nella quale tutti i partecipanti sono invitati a ballare, cantare e suonare, riuniti attorno alla pedana da ballo, che non serve solo per ballare, ma rappresenta il principale strumento a percussione, il centro della festa. I fandanghi erano comuni da entrambe le parti dell’Atlantico già verso la fine del secolo XVII. Il Fandanguito jarocho di oggi è musicalmente identico al fandango barocco del Codice Saldívar 4. Il son del fandango, probabilmente originatosi nel bacino dei Caraibi nel secolo XVII, divenne il soggetto musicale più popolare in Spagna al principio del secolo seguente, e il suo ballo fu descritto da Giacomo Casanova come “espressione dell’amore dal principio alla fine”.
Oltre ad Ortiz, molti altri compositori iberici di musica strumentale, scrivendo per la vihuela, la chitarra, l’arpa o l’organo, fecero uso di questi ed altri bassi continui nelle loro opere. Nella sua Facultad organica del 1626, una delle più influenti pubblicazioni di musica manieristica per tastiera della Penisola Iberica, l’organista Francisco Correa de Arauxo (ca. 1576-1654) scelse una melodia al basso più lunga per una serie di variazioni di sbalorditiva bellezza, Todo el mundo en general.
Un altro motivo di danza popolare in Spagna, adottato come basso continuo per variazioni strumentali in altri paesi europei fino alla metà del XVIII secolo, fu il Canarios, o Canario, apparentemente nato nelle Isole Canarie. Spesso descritte all’inizio – non sempre senza un certo grado di attrazione, si potrebbe aggiungere – come “barbare” e “immorali”, queste danze furono in molti casi gradualmente trasformate in sofisticati soggetti di corte secondo il gusto barocco, perdendo in questo processo molte delle loro caratteristiche popolari originarie. Ma anche cosi, esse rimasero nel cuore del repertorio strumentale europeo.
D’altra parte, compositori italiani del tardo Manierismo e del primo Barocco coltivarono a fondo questo genere nelle loro opere strumentali, sia solistiche che d’insieme, come la Gallarda Napolitana (Intavolatura de cimbalo, 1576), di Antonio Valente o le varie raccolte pubblicate nella prima metà del XVII secolo da Salomone Rossi (1570-ca.1630), Biagio Marini (ca.1587-1663) o Tarquinio Merula (1594 o 95-1665), fra i tanti.
Come praticamente per tutti i generi di musica strumentale nel XVI e XVII secolo, dovremmo tenere presente che, per la maggior parte, le serie di variazioni su una base fisa scritte in questi due secoli, furono composte da autori che erano essi stessi acclamati virtuosi, che volevano presentare, nelle loro pubblicazioni, esempi di un magistero tecnico in generale inseparabile dalle loro sviluppatissime capacità d’improvvisazione. Non solo: come regola generale nella pratica esecutiva di questo periodo, ci si attendeva che altri strumentisti che volessero suonare queste opere, aggiungessero ad libitum ornamenti e diminuzioni alla partitura scritta; e sicuramente, due esecuzioni di una stessa opera da parte di uno stesso interprete, si trattasse dello stesso autore o di qualsiasi altro virtuoso, non sarebbero mai state esattamente uguali. Una versione stampata di un pezzo strumentale manierista o barocco (specialmente nel caso di musica iberica e italiana del XVI secolo e dell’inizio del XVII) può essere precisamente vista così: come una versione, che non si propone in alcun modo di presentare un testo definitivo, vincolante, per quell’opera, e che come tale è più vicina, in un certo senso, alla registrazione dal vivo di un’esecuzione di jazz, con tutta la sua componente d’improvvisazione spontanea, che all’ideale del XIX secolo di un intoccabile Urtext. Per un repertorio basato non tanto su considerazioni puramente formali o contrappuntistiche, quanto su una successione di libere elaborazioni virtuosistiche su una preesistente linea di basso, la ricerca della vera “autenticità” nella sua esecuzione moderna deve includere la riscoperta di questo inesauribile elemento di permanente creatività personale. Questa è la ragione per la quale questo programma, non soltanto è caratterizzato da un elemento costante d’improvvisazione nell’approccio alle opere eseguite, ma include addirittura un momento d’effettiva improvvisazioni collettiva sulla base ostinata.
Jordi Savall, Rui Vieira Nery
JORDI SAVALL
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